La farina: questa sconosciuta

Frumenti e graniIl chicco di granoLa sapienza del mugnaioL'impastoLa carta d’identità di una farinaUna conclusione di vostro gradimento

Frumenti e grani: dove cominciano le nostre farine

Il frumento è tra i cereali più diffusi al mondo: la sua produzione si colloca al terzo posto nel pianeta, dopo quelle di mais e di riso.
Esistono due tipi principali di frumento: il frumento di grano duro (Triticum durum) e il frumento di grano tenero (Triticum estivum), dove con il termine “grano” si designa il frutto del frumento.

In Italia il frumento di grano duro è prevalentemente coltivato nelle regioni meridionali e insulari. La spiga è tozza e si distingue per l’arista (antenna) piuttosto allungata. I chicchi sono grossi, pesanti e dorati: dalla loro frantumazione si ricava una farina con grana grossolana, vitrea, non polverosa, denominata “farina di grano duro” o, più frequentemente, “farina di semola”. La farina di semola si caratterizza per la ricchezza di glutine e la particolare tenacità: è perfetta per la lavorazione di pasta fatta in casa o di pani particolari, come quelli di Matera o di Altamura.

Frumento di grano duro: la pianta e il frutto.

Il frumento di  grano tenero, in Italia, è prevalentemente coltivato nelle zone di pianura delle regioni settentrionali e centrali. La spiga è più sottile, l’arista più corta, il chicco piccolo e leggero, di colore giallo-arancio, dalla consistenza fragile e farinosa: dalla sua lavorazione si ricava la farina di grano tenero, nota anche come “farina bianca”, con una grana molto fine. Questa farina è il principale prodotto del Molino Michieletto, nelle sue varianti di crescente finezza (dal tipo 2 allo 00). È certamente la più impiegata nella produzione di pane, pizze, focacce e in una miriade di prodotti di pasticceria.

Frumento di grano tenero: la pianta e il frutto.

Il chicco di grano: uno scrigno di risorse

Per capire le proprietà delle farine è importante partire dal chicco di grano, la materia prima da cui si ricava la farina. Il chicco di grano, denominato scientificamente “cariosside”, è costituito da tre parti:

  • la crusca (circa il 12% del peso totale), l’involucro esterno del chicco, ricca di vitamine, sali minerali e di grandi quantità di fibre, che agiscono sul funzionamento del tratto gastrointestinale e migliorano l’assorbimento di zuccheri e di grassi;
  • l’endosperma (circa l’85% del peso totale), da cui si ricava la farina bianca, ricco di amido (carboidrato) e di proteine, da cui si ricava il glutine (complesso proteico);
  • il germe (circa il 3% del peso totale), la parte “viva” della farina, ricca di vitamine, grassi e minerali, da cui germoglia la futura pianta.
Spaccato di un chicco di grano.

La sapienza del mugnaio:
estrarre le “virtù” naturali del grano

La molitura consiste essenzialmente nell’estrarre, frantumare, setacciare il contenuto dell’endosperma, ricco in particolare di amido e di proteine, separandolo dall’involucro esterno, da cui si ricava un sottoprodotto, la crusca, destinato in genere all’alimentazione animale. Talora, magari in misura parziale, anche la crusca è mantenuta nel processo di lavorazione della farina, per ottenere le farine integrali, particolarmente ricche di fibre e, quindi, molto gradite al nostro intestino.

Il carattere di una farina è innanzitutto determinato dai contenuti di proteine e di amidi: le farine di grano duro sono in genere più ricche di proteine (in particolare glutine) rispetto a quelle di grano tenero, dove abbondano gli amidi. Le prime, più nutrienti, consentono di ottenere pani saporiti e fragranti. Le seconde sono molto versatili per prodotti che richiedono una particolare lievitazione.

Di fronte a un crescente imperversare di opinioni (spesso superficiali) sulle farine e a sconfinamenti del marketing nei territori della scienza dell’alimentazione, è opportuno far valere almeno una regola d’oro: una buona farina deve essere innanzitutto prodotta con grani di qualità, indipendentemente dal tipo di grano impiegato (tenero, duro, “antico”…), la cui scelta va fatta in funzione del prodotto che s’intende ottenere (con i grani antichi o il kamut non si fa il panettone!).

Molte farine industriali, purtroppo, sono compromesse già in partenza, poiché lavorate da grani di scarsa qualità, trasportati e conservati in condizioni che ne compromettono la freschezza, alterati con aggiunte di proteine ed enzimi, o tramite processi di tostatura e stabilizzazione che li “rianimano” artificialmente.

Ecco, quindi, che diventa fondamentale scegliere un molino rigorosamente attento alla qualità della materia prima, trasformata senza uso di additivi e senza processi in più, oltre la pura e semplice molitura. Solo così la farina ottenuta diventa una “materia viva”: l’ingrediente indispensabile per una panificazione e una pasticceria all’insegna dell’eccellenza.

La farina e la crusca: i due prodotti della macinazione. .

Lo straordinario “laboratorio” dell’impasto

Conoscere il grano è necessario per capire ciò che succede con le farine che n’ereditano il contenuto. Gli ingredienti del chicco, infatti, sono decisivi nello straordinario “laboratorio” chimico-fisico dell’impasto, dove la farina compie il suo destino.

L’impasto consiste di solito in acqua, lievito, sale, zucchero, grassi e farina. La farina contiene soprattutto amido, proteine, zuccheri e grassi. I lieviti iniziano la fermentazione degli zuccheri, producendo alcool e anidride carbonica. Grazie a un processo di maturazione protratto nel tempo, anche l’amido è scisso in zuccheri, tramite l’azione dell’enzima amilasi contenuto nella farina, che contribuisce in questo modo a un’ulteriore e migliore lievitazione.

L’anidride carbonica sprigionata durante la lievitazione aumenta il volume dell’impasto. Intanto anche le proteine presenti nella farina interagiscono tra loro, costituendosi in un complesso proteico strategico: il glutine. Come vedremo, sarà proprio la maglia glutinica dell’impasto a trattenere l’anidride carbonica sviluppata e, quindi, a rendere pienamente efficace la lievitazione.

Il processo di lievitazione in due fasi successive.

La carta d’identità di una farina

Una conoscenza base dei grani, delle farine e dei processi di lievitazione e di maturazione, ci permette di comprendere più a fondo quelle proprietà, in primo luogo reologiche, la cui interpretazione è alla base di una scelta competente della farina, in funzione del prodotto da forno che intendiamo ottenere.

La reologia è un ramo della fisica che studia l’origine, la natura e le caratteristiche di deformazione dei corpi sotto l’azione di forze esterne. Si può facilmente intuire la relazione di questa disciplina con le farine: taluni impasti devono essere molto estensibili, altri lievitare in misura considerevole, altri ancora consentire la formazione di sfoglie finissime… Ogni impasto, quindi, ha una sua specialità, che deriva dal tipo di farina impiegata. Per questo è importante saper leggere la carta d’identità di una farina, in particolare i seguenti dati:

  • W: forza (proprietà reologica)
  • P/L: rapporto tra tenacità ed estensibilità (proprietà reologica)
  • Assorbimento (di acqua)
  • Grado di abburattamento

FORZA (W)

La forza (W) è la caratteristica tecnica fondamentale della farina. Una farina forte ha un’elevata capacità di assorbire i liquidi durante l’impastamento e di dar luogo a un impasto elastico, tenace, capace di trattenere molta anidride carbonica nella lievitazione, ottenendo così con la cottura una pasta soffice e ben alveolata, caratteristica di pandori, panettoni, croissant…
Una farina debole assorbe poca acqua, genera impasti che poco trattengono il gas di fermentazione, lievitano rapidamente e minimamente: è ideale per produrre biscotti e dolci secchi, con modesta alveolatura e spiccata friabilità.
Una farina media è, in genere, impiegata per la panificazione.

La forza di una farina è proporzionale al suo contenuto proteico (variabile dall’8 al 15%), consistente prevalentemente in gliadine e glutenine, due proteine che, a contatto con l’acqua e l’aria inglobate nel composto durante l’impastamento, vanno a costituire il glutine. È proprio questo complesso proteico a determinare la cosiddetta “maglia glutinica”, da cui derivano le proprietà dell’impasto: la sua plasticità (estensibilità) è legata al contenuto di glutenine, la sua tenacità ed elasticità a quello di gliadine.*

*Una deformazione elastica scompare al cessare della sollecitazione che la determina. Una deformazione plastica è permanente.

Osserviamo i due pani: dalla dimensione delle alveolature, si può dedurre che la farina impiegata per il PANE 1 sia più forte di quella utilizzata per il PANE 2.

Nella seguente tabella, si propone una schematica classificazione delle farine in base alla loro forza, indicandone anche il contenuto di proteine, l’assorbimento d’acqua e il loro impiego nella produzione alimentare.

Forza (W) Proteine
(indicativo)
Assorbimento
d’acqua
Impiego
Fino a 170: farine deboli 8-10% Circa il 50%
del loro peso
Biscotti, cialde e dolci friabili.
Besciamelle e salse.
Da 180 a 260: medie 10.5-12.5% 55%-65% Pane francese (baguette), panini all’olio, pasta pizza.
Da 270 a 350: forti 12.5-13.5% 65%-75% Pane classico, pizza, pasta all’uovo.
Pasticceria a lunga lievitazione: babà, croissant.
Oltre i 350: speciali (tipo manitoba) 13,5-15% Fino al 100% Panettone, pandoro.
Rinforzo per farine deboli.

Un metodo pratico ed efficace consente di determinare in modo empirico la forza di una farina: bisogna prenderne un mucchio e stringerla nel pugno. Se, dopo la stretta, rimane compatta, è una farina debole; se torna friabile, è una farina forte.


TENACITÀ / ESTENSIBILITÀ (P/L)

Un altro dato importante è l’indice P/L: il rapporto tra tenacità ed estensibilità. P indica la tenacità del glutine (determinata dalla gliadina), vale a dire la forza massima che l’impasto oppone alla deformazione.

L indica la sua estensibilità (determinata dalla glutenina), vale a dire la deformazione massima che l’impasto raggiunge prima di rompersi.
Un rapporto P/L basso indica una farina con tenacità ridotta e alta estensibilità, facile da lavorare.
Un rapporto P/L alto indica una farina con tenacità elevata e bassa estensibilità e, quindi, particolarmente resistente alla lavorazione.

  • Farine tenaci per la panificazione hanno un P/L > 0,7.
  • Farine molto estensibili hanno un P/L < 0,4.
  • Farine equilibrate hanno un P/L tra 0,4 e 0,7.

Ecco due esempi di combinazione dei valori W e P/L:
1) una farina per biscotti, con impasto da stirare, avrà W e P/L bassi (p.e. W=100 e P/L = 0.4);
2) una farina per lievitati come i panettoni avrà W e P/L alti (p.e. W=350 e P/L=0.6).

Un impasto facilmente stirabile, ottenuto con una farina con un rapporto P/L basso.

GRADO DI ABBURATTAMENTO

L’abburattamento è il processo di setacciatura e selezione delle farine dai grani, che segue la macinazione; il grado di abburattamento indica la percentuale delle farine estratte rispetto ai grani impiegati ed esprime quindi la resa produttiva. Per esempio: nella produzione di farine integrali, con 100 Kg di grano si producono 100 kg di farina, quindi il grado di abburattamento è del 100%. Nella produzione di farine tipo 00, con 100 Kg di grano si producono solo 50 kg di farina (il resto diventa crusca), quindi il grado di abburattamento è solo del 50%.

Per legge (dpr 187/01) la farina in Italia è classificata in cinque tipi secondo il grado di abburattamento:

TIPO Grado di abburattamento
(resa produttiva)
00 50%
0 72%
1 80%
2 85%
Integrale 100%

Il grado di abburattamento, oltre a indicare la resa produttiva, offre anche interessanti informazioni qualitative sulle farine: quelle più raffinate (setacciate) come la “00” e la “0” sono più ricche di amido (proveniente dall’endosperma) e quindi favoriscono la riproduzione dei lieviti e lo sviluppo del glutine.
Quelle più grezze, come la farina integrale, sono meno performanti in termini di elasticità e lievitazione, ma conservano inalterate le proprietà nutritive dei grani, contenendo più vitamine, fibre e proteine…

Una conclusione di vostro gradimento

Ancora una volta la scelta della “farina ideale” è lasciata al panificatore, pasticciere, pizzaiolo: alla sua consapevolezza del risultato che vuole ottenere, magari anche attraverso sapienti miscele di farine forti, deboli, integrali, per trovare sempre e comunque l’equilibrio perfetto.